Interviste & Articoli


Ruggero Raimondi: Don Giovanni
in Helena Matheopoulos: Bravo
Milano, Garzanti, 1987, pp.264-283

Il ruolo preferito di Raimondi nella trilogia di Da Ponte è quello di protagonista nel Don Giovanni. Dice anzi che, insieme con quelli di protagonista del Boris Godunov e del Don Chisciotte, questo è il ruolo preferito del suo intero repertorio, che comprende (a parte opere già nominate o discusse) parti verdiane come Silva in Ernani, quella di protagonista in Attila, di Fiesco in Simon Boccanegra e di Procida ne I vespri siciliani; il ruolo di protagonista nel Mosé in Egitto di Rossini; ruoli francesi che, a parte Don Chisciotte ed Escamillo, comprendono Mefistofele sia nel Faust di Gounod che ne La Damnation de Faust di Berlioz; e parti russe come Boris, e Kovanskij nella Kovàncina di Musorgskij. (Soltanto su disco e sulla piattaforma da concerto, purtroppo, ma il repertorio di Raimondi comprende anche una delle più convincenti interpretazioni di Scarpia, dopo quella di Gobbi). In origine, non si aspettava di trovare che Don Giovanni fosse interessante quanto Boris e Don Chisciotte, e dice che il suo rapporto con questo ruolo è stato "di lenta, graduale scoperta, ma a un profondissimo livello".

Don Giovanni per Béjart "Tutti vedono il lato esterno di Don Giovanni, corteggiatore e seduttore di donne. Ma io sono arrivato alla conclusione che Don Giovanni è come un grande buco: una leggenda, un personaggio che esiste soltanto di riflesso, attraverso le reazioni e i desideri di altre persone, una leggenda che si spegne in una morte spettacolare, mitica, così da poter rinascere e costantemente rinnovarsi attraverso i vari autori".
Jeremy Caulton, responsabile della programmazione operistica, all'English National Opera, sostiene esattamente la stessa teoria su Giovanni, che definisce "quasi il trucco di un illusionista", e fa notare che, ogni volta che se ne discute alle riunioni, diventa quasi un fatto imbarazzante, perché ciascuno proietta nel concetto che ne ha le proprie fantasie più intime. Raimondi concorda anche con la visione che ha di Giovanni Sir Peter Hall, ossia di uomo che sfida Dio. "Questo tema è proprio alla radice dell'opera. Don Giovanni non può essere un ateo. Deve per forza essere un credente che resiste a Dio e lo sfida fino alla fine. Senza questa dimensione, la storia e il personaggio perderebbero l'elemento grandioso che di Don Giovanni fa una figura così speciale: diventerebbero banali. L'essenza della grandezza di Giovanni è il contrasto tra la sua natura impudente, del tutto anticonvenzionale, e gli altri personaggi, tutti rispettosi e come schiacciati dai costumi e dalle convenzioni del momento. Ma lui, pur rimanendo entro i limiti della legge, infrange tutte le regole e le convenzioni in base alle quali vive la gente mediocre e comune. Questo rende tutti furenti di invidia e di desiderio. Lui è quello al quale tutti vorrebbero assomigliare, ma non osano. E' inoltre un catalizzatore che getta luce, mettendole in risalto, sulle debolezze altrui, sui problemi che vorrebbero nascondere a se stessi e al prossimo e sulla vergogna delle situazioni di cui sono prigionieri. Che è come dire, distrugge l'esistenza di tutti coloro che incontra sul suo cammino: attraverso di lui, Anna si rende conto che Ottavio non è l'uomo per lei, Elvira entra in convento, Zerlina assapora qualcosa di cui ignorava l'esistenza, ma lei e Masetto decidono di imbarcarsi in un rapporto in cui non può esserci né piacere né fiducia. "Un'altra sua principale caratteristica è d'essere un camaleonte che cambia colore ad ogni situazione e a seconda delle persone con cui si trova: con la gente mite è affascinante, con i forti è ancora più forte e con i deboli si mostra annoiato. Di conseguenza, ancor più che per il Conte Almaviva, il segreto per portarlo veramente in vita sta in una miriade di colori vocali che dovrebbero cambiare da un istante all'altro, onde adattarsi alle situazioni e ai personaggi che lui si trova ad affrontare. Ciascun colore vocale - sempre differente per Zerlina, Anna, Elvira, Masetto, i contadini o Leporello - rappresenta un diverso linguaggio, e il fatto ch'egli intuisca per istinto quale tono usare per ciascuno di essi è quel che lo rende così elettrizzante e irresistibile ai loro occhi. Questo, unito al fatto che ogni pochi secondi ha un orgasmo, gli impedisce di rendersi noioso. Il regista Franco Enriquez centrò perfettamente il problema quando disse che Don Giovanni dovrebbe avere 'una voce spermatozoica', e mi sentii particolarmente lusingato quando aggiunse, 'tu, Ruggero, dovresti essere un buon Giovanni, perché tu la voce spermatozoica ce l'hai!' ". D'accordo con altri famosi interpreti di questo ruolo, Raimondi conviene che non è particolarmente difficile. E' un ruolo "ibrido", che può essere cantato tanto da un baritono che da un basso, sebbene egli sia del parere, e non fa meraviglia, che la voce ideale per Giovanni sia da basso-baritono. "I baritoni tendono a trovare la tessitura infida in certi passaggi, come l'aria dello Champagne, piuttosto bassa e tuttavia da cantarsi con feroce velocità - perché è orgiastica - ma con una voce piena e ricca in grado di venire proiettata fino all'ultima balconata del loggione, il che riesce meglio ai bassi con buone note alte che ai baritoni. D'altro canto, i bassi hanno difficoltà a cantare la Serenata, che richiede finezza e voce chiara, cosa che i bassi devono faticare molto per riuscire a dare. In compenso se la passano meglio alla fine, dove la tessitura è bassa e l'orchestrazione rumorosa. Mi piacerebbe tentare un esperimento: cantare quest'opera con gli strumenti originali, per vedere se aiuterebbero a trovare i colori orchestrali e vocali esatti; perché, come dico, dal punto di vista vocale tutta l'interpretazione di Don Giovanni fa perno sui colori, colori in una vasta varietà di tinte e di sfumature". Come Milnes e Allen, Raimondi sente che, dal punto di vista drammatico, sia essenziale mettere in luce la tremenda forza vitale e lo stato di tensione costante. L'azione si accentra sull'ultimo giorno di Giovanni sulla terra, una giornata che è cominciata male, con l'assassinio del Commendatore, per poi proseguire peggio: arriva Elvira e si mette a calunniarlo con tutti, il suo corteggiamento di Zerlina viene interrotto ben tre volte, Anna e Ottavio vogliono che lui li aiuti a rintracciare l'assassino del Commendatore e infine Anna - furente, secondo me, per quello che Elvira ha rivelato sui trascorsi di Giovanni con le donne - riconosce in lui l'assassino, Giovanni ha l'impressione, sono parole sue, che "oggi il demonio si diverta d'opporsi a' miei piacevoli progressi". Di conseguenza è in uno stato di estrema tensione, pronto a entrare in azione e a reagire a qualsiasi situazione in qualsiasi momento. "Il che dovrebbe riflettersi in tutti i suoi movimenti - nel modo come guarda la gente, nel modo come getta occhiate dietro di sé, nel modo come parla, come cammina, come regge il bicchiere o sguaina la spada - e venire comunicato al pubblico. La tensione e l'adrenalina che essuda dovrebbero essere tali che, quando è in scena, tutti dovrebbero sentire che è presente e, quando non lo è, tutti dovrebbero essere consapevoli della sua assenza. Questo fa di lui un ruolo particolarmente gravoso, che ti logora i nervi". Ben pochi cantanti sono capaci di sostenere un simile grado di tensione fino alla fine. E tuttavia, devono sostenerlo, perché il finale, la scena della Cena, richiede tremenda potenza vocale e dovrebbe avere un effetto terrificante: è "un duello di Titani", secondo le parole di Raimondi, in cui Giovanni è finalmente sopraffatto, o per meglio dire rimosso, da forze ultra-terrene, impenitente, implacabile e, sebbene capisca di non avere speranze, deciso a resistere fino alla fine. "Anzi, dal momento in cui la statua del Commendatore gli ha rivolto la parola, Giovanni si è reso conto, e la sua musica lo esprime, che il momento ha acquistato una dimensione irreale, misteriosa, e ha il sospetto che d'ora in avanti le cose possano solo andare contro di lui. Ma ugualmente è deciso a lottare. In tono di scherno, invita la statua a cena, questa risponde 'sì' ed è questa la penultima chiamata. Durante la cena, egli si comporta dapprima con la grazia e i modi amabili di un ospite squisito, aristocratico e infine, via via che la tensione del confronto aumenta, rifiuta di venire a compromessi o di pentirsi e muore come dovrebbero finire le leggende: in modo mitico, anormale, per poter continuare a vivere. La difficoltà, qui, è di stabilire credibilità per la morte, che non è affatto la fine, di una leggenda". Un personaggio che, a parere di Raimondi, ha perso l'occasione di divenire a sua volta leggenda, è Donna Anna, la quale, ne è certo, ha goduto una notte d'amore con Giovanni prima che abbia inizio l'azione. "C'è qualcosa di speciale nel legame tra i due, e si riflette nella loro musica, che suggerisce un forte attaccamento. Ma, venuto il mattino, probabilmente lei ha cominciato a tempestarlo di richieste per un legame permanente o se non altro regolare, e a ribellarsi contro l'estremo bisogno di lui d'essere libero e di sottrarsi al quotidiano. C'è una grande ambiguità nella musica della fuga di Giovanni - che ha dinamiche interessanti, forte, piano, forte, mentre lei grida 'gente, servi' - in cui si avverte un implicito desiderio di mantenere i contatti. Questo sottofondo di intensa attrazione reciproca sottolinea tutti i loro scambi e dovrebbe riflettersi negli sguardi che si danno. Anna sa benissimo che è stato Giovanni a fare irruzione in camera sua e a uccidere suo padre. Ma è significativo che decida di "riconoscerlo" soltanto dopo che ha sentito, da Elvira, come lui faccia "collezione di donne!". Nella primavera dell'86 Raimondi - che dopo il suo ritiro dalle scene, in un lontano futuro, vorrebbe cimentarsi nella direzione d'orchestra e nella regia - ha cantato questo ruolo in una propria produzione di Don Giovanni, a Nancy. Raimondi ha dichiarato che la sua produzione non ha la pretesa di rivelare la verità su Don Giovanni ma riflette soltanto la sua verità su quest'opera, oggi, nel 1986. Alla prima, è accorsa gente da tutta Europa, e l'accoglienza della critica francese è stata quanto mai favorevole: "Un Don Giovanni prorompente di vitalità, anzi super dotato nel suo ambito, in grado di attirare tutti quelli che incontra nella sua orbita, in cui sprigiona la stessa, divorante energia. Non c'è un istante di vuoto in questa produzione: tutto è costantemente in movimento. In questa fretta di cambiare abiti, luoghi, partner, di accostarsi ai corpi e liberarli delle loro inibizioni, emerge un senso di urgenza e di sensualità apertamente espressa. Qui non c'è traccia di tenerezza o di paura, tutto è vita trionfante e avida d'amore. E poiché in questo caso c'era un accordo perfetto tra il regista e l'interprete principale, che sono la stessa persona, mai la parte del protagonista è stata cantata meglio di così... Attraverso la sua forza, Don Giovanni rivela gli altri personaggi a se stessi, mandando in pezzi tutti i loro tabù". ("Le Matin").
Un'idea che Raimondi era particolarmente ansioso di sperimentare riguarda un nuovo modo di concepire la scena del Cimitero: "nel diciottesimo secolo era consuetudine, nella Spagna settentrionale, andare a fare picnic nei cimiteri e mettersi a mangiare e bere vicino alla tomba di qualche parente. Leporello, uomo del popolo, ben radicato nelle tradizioni locali, dovrebbe quindi essere lì per fare proprio questo quando Giovanni scavalca il muro nel tentativo di sfuggire alla sua ultima conquista. Leporello, che non se l'aspetta, si lascia sfuggire di mano una bottiglia di vino, e penso che sarebbe efficace lasciar rotolare la bottiglia per il palcoscenico". Raimondi si augurava che il suo primo tentativo di regia operistica avesse successo perché, sebbene gli siano piaciute molte delle produzioni in cui ha cantato, nessuna gli aveva mai permesso di rappresentare la parte esattamente come lui la vede.

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