Interviste & Articoli


Ruggero Raimondi: La trilogia mozartiana - Conte Almaviva, Don Giovanni, Don Alfonso
in Helena Matheopoulos: Bravo
Milano, Garzanti, 1987, pp.264-283

All'epoca della nostra ultima conversazione, l'agosto 1985, Raimondi stava registrando per la Phonogram la parte del Conte Almaviva nelle Nozze di Figaro di Mozart. Non aveva progetti cinematografici in vista, almeno per l'immediato futuro, ma in teatro "uno dei sogni che più accarezzava" era di cantare rappresentazioni consecutive delle tre opere di Da Ponte musicate da Mozart, a cominciare dal protagonista del Don Giovanni per passare poi al Conte Almaviva e infine a Don Alfonso di Così fan tutte.
"In questo modo sarebbe possibile porre in risalto il comune denominatore di questa trilogia: la distruzione dell'amore e il trionfo delle convenzioni sociali. Vera protagonista di queste opere, infatti, è la convenzione morale, sociale che, nonostante sia trattata in modo molto ironico tanto da Mozart quanto dal Da Ponte, alla fine riesce sempre col trionfare".
Raimondi metterebbe al primo posto il Don Giovanni, Don Giovanniperché il personaggio personifica la forma d'amore più idealizzata di tutta questa trilogia. Come spiega Giovanni nell'esporre la sua filosofia amorosa a Leporello, nell'Atto II, "le donne non disdegnano mai il mio grande talento naturale, e lo chiamano inganno soltanto quando lo profondo sulle altre".

Per ultimo metterebbe Don Alfonso, perché è "l'esponente ultimo di questa parabola: l'uomo che, in Così fan tutte, ribadisce il concetto che la vita, in sostanza, è soltanto una questione di accomodamento e di adattamento alle convenzioni sociali dell'epoca. Al termine di quest'opera, quelle quattro persone - Guglielmo e Fiordiligi, Ferrando e Dorabella - che non si amano e che si sono già lasciate e macchiate di infedeltà reciproca, decidono di inchinarsi alle convenzioni e di tornare insieme. Chi può dire quello che accadrà, alla lunga? In ogni caso, è tutta gente distrutta. Me li immagino sempre come coetanei che si siano conosciuti e abbiano simpatizzato così come avviene tra persone di uno stesso ambiente, e si siano ritrovati fidanzati senza conoscersi a fondo. Poi, attraverso la parziale conoscenza l'uno dell'altro, scoprono le persone veramente adatte per loro. Tuttavia, si sentono, nonostante tutto, impegnati per motivi d'onore a tener fede ai legami e agli obblighi sociali. Ma il grande punto di domanda resta".
Raimondi non ha ancora cantato Don Alfonso in scena ed è ancora nella fase in cui si medita su un ruolo. Vede Alfonso come "un personaggio diabolico, quasi mefistofelico, un burattinaio che, nel suo cinismo, in realtà conosce le debolezze della natura umana e trae piacere dal manipolare la vita degli altri, al punto che, pur di vincere una scommessa, è pronto a seminare la rovina nell'esistenza dei suoi amici. Penso sempre che, scommessa a parte, Alfonso goda realmente nel disilludere gli altri, forse perché, come un moderno Don Giovanni, è ritornato dall'inferno e non ha più niente da perdere nella vita. La sua distaccata, realistica conoscenza della natura umana lo colloca quasi al di fuori della vita. Per lui, tutto è unito e ormai non resta più che il cinismo. E forse questo è il suo inferno: dovere sperimentare l'inferno altrui".
Dal punto di vista vocale, la tessitura di Don Alfonso non presenta problemi per Raimondi, che è "attirato dalla sua nervosa, interessante dinamica": piano seguito immediatamente da forte e poi di nuovo da un piano, in un continuo su e giù.

Le nozze di Figaro - che, a parer suo, è tutt'altro che un'opera leggera, come spesso viene trattata - la collocherebbe nel mezzo della trilogia. Come il grande librettista di Richard Strauss, il poeta Hugo von Hofmannsthal, il quale scrisse che "in Figaro c'è poco di cui ridere e molto di cui sorridere", Raimondi fa notare come commedia e ironia siano nelle situazioni, più che nei personaggi stessi. "Perché il tema principale di quest'opera è l'inizio della fine di un grande amore.
Due persone - il Conte e la Contessa - Conte Almavivache un tempo hanno vissuto una grande storia d'amore, sono adesso arrivati al punto in cui non hanno più niente da dirsi. Ed entrambi cominciano a cercare altrove quell'amore che hanno perduto.
Il Conte cerca di compensare la perdita col mostrare un appetito insaziabile verso qualsiasi forma femminile e dando la caccia a tutte le donne della sua casa, mentre la Contessa è più turbata da Cherubino di quanto voglia ammettere: basta vedere come scatta contro Susanna quando questa, nel II Atto, fa troppi complimenti a Cherubino e lo coccola in modo troppo confidenziale. "Tutte queste situazioni, però, sono ben altro che chiare. Le cose non avvengono in superficie, all'aperto, ma fanno da contrappunto alla trama in una specie di sotto-testo, e quest'ambiguità dovrebb'essere implicita e suggerita nel modo in cui sono raffigurati i personaggi.
L'unico a rimanere all'esterno di questo groviglio di rapporti è Figaro, che cerca di ottenere quello che vuole con la sua arguzia, il suo acume e i suoi contro-intrighi. Ma alla fine è lui il principale perdente del gioco, sebbene tutti i personaggi restino sconfitti. L'opera termina con 'Contessa, perdono', ma questo finale, lungi dal significarne la riabilitazione, segna la fine dell'amore per ambedue le coppie. Benché esternamente, sempre per ipocrite ragioni di convenienza sociale, tutto ritorni normale, l'amore tra il Conte e la Contessa è morto. I due si ritrovano agli inizi di una fase di routine in un rapporto che ha perso tutti i suoi significati e che non contiene i semi per lasciar germogliare qualcosa di valido. Quanto agli altri due, possiamo già captare una certa aridità nel personaggio di Figaro così come nell'attrazione che Susanna prova inconsciamente per la sensualità del Conte. Naturalmente, nessuno sa che Beaumarchais, in Cherubino, porta le relazioni Conte-Susanna e Contessa-Cherubino alla loro logica conclusione. E il seme del futuro è là, nel finale de Le nozze di Figaro".
Raimondi canta Figaro oltre che il Conte Almaviva - il ritratto che ne diede nella produzione di Jean-Pierre Ponnelle al Metropolitan, nell'autunno dell'85, riscosse il plauso generale dei critici - ma trova il Conte infinitamente più interessante, sia dal lato vocale, sia da quello drammatico. La continua ricerca d'amore da parte del Conte (che Raimondi vede anche come un tentativo di aggrapparsi alla giovinezza, costantemente, sfidata dalla presenza di Cherubino) e la consapevolezza di trovarsi nella rete di un enorme intrigo che in qualche modo gli sfugge, significa ch'egli sta continuamente reagendo a nuove situazioni.
"Questo richiede una moltitudine e una varietà di colori vocali. Anzi, il segreto per interpretare questo ruolo sta nei colori e nelle dinamiche, che dovrebbero variare, variare, variare di continuo, perché ogni nota esprime un diverso umore e stato d'animo. Ecco perché quest'opera richiede registi illuminati e sensibili e cantanti che comprendano l'italiano e che possano rendere giustizia alla completa coesione tra la musica di Mozart e il libretto di Da Ponte. Sì, perché Mozart, che era un genio, capì che c'era un'etimologia da sfruttare nel testo di Da Ponte, dove in ogni frase c'è una metafora, e scrisse quei meravigliosi recitativi in cui ha luogo il vero dramma, la vera tensione dell'opera. Di conseguenza è d'importanza vitale che regista e cantanti comprendano ogni parola di quello che stanno cantando".
A coloro che sono in grado di apprezzare la sottigliezza del testo, il Conte si presenta come un personaggio triste, più che comico, e che richiede una meticolosa preparazione psicologica. "Poiché ogni volta che è vicino a dipanare l'intrigo che capta intorno a sé, questo gli sfugge ulteriormente. Ha l'orribile sospetto di portare le corna, lui, non solo come marito ma anche come rappresentante di una certa classe. Prendiamo l'Atto II, quando si odono i passi del Conte che si avvicina alla stanza della Contessa e subito Cherubino viene nascosto nello spogliatoio. Il momento, lungi dall'essere buffo, è molto drammatico, con la Contessa che, sul punto d'essere ripudiata, si sente quanto mai in pericolo. Questo dovrebbe riflettersi in tutti i suoi movimenti, e tanto più visto che il Conte si mette a interrogarla in modo brusco e da inquisitore. Quando lei ammette che Cherubino è nascosto nel suo spogliatoio, il Conte esplode in un furore omicida, livido per la costante presenza di quel giovane paggio in cui non fa che imbattersi dappertutto e che sta dando la caccia a tutte le ragazze col vigore di un giovane Almaviva, rammentando così al Conte una verità ch'egli non vuole affrontare: e cioè che la sua, di giovinezza, comincia a dileguarsi. La sua esplosione di rabbia dovrebb'essere, quindi, doppiamente terrificante e tale da far sì che la Contessa tema per la sua vita. Al colmo dell'ira, dopo essersi impossessato di un'altra chiave, il Conte apre la porta dello spogliatoio e ne esce... Susanna! "Qui è dove subentra una nota di commedia. Ma è la situazione che è comica, non il Conte, il quale è talmente sorpreso da sentirsi girar la testa e non sa come reagire: guarda la Contessa, ben sapendo che ora lei lo punzecchierà e lo tormenterà per giorni e giorni e che, sebbene altrettanto stupefatta, si finge ora sicura di sé e indignata. Poi, nella stanza irrompe Figaro. Il Conte, intuendo che sono tutti in combutta, spera a questo punto di poterli prendere in trappola e costringerli a rivelare le loro trame attraverso la faccenda del foglio e del sigillo. Ma ecco entrare il giardiniere il quale annuncia che qualcuno è saltato giù dalla balconata, e il Conte si rende conto che i suoi sospetti su Cherubino erano più che fondati. Lo sa e, sebbene non possa provarlo, il gioco si fa a questo punto quanto mai serio. Per cui, lungi dall'essere un buffone, egli è un personaggio di grande complessità e possibilità drammatiche". Per questo Raimondi prova tanto piacere nell'interpretare questo ruolo, che in realtà sarebbe per baritono, ma con una tessitura molto confortevole per la sua voce. Tuttavia fa notare che, dopo avere cantato Almaviva, gli sarebbe impossibile cantare subito qualcuno dei suoi ruoli di basso profondo, come Boris Godunov, Mefistofele o Filippo II. Cerca di conseguenza di metterla in programma accanto a ruoli dall'analoga tessitura piuttosto alta, come Figaro, o Don Profondo ne Il viaggio a Reims di Rossini, come ha fatto nell'estate-autunno 1985.

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